Aprile 2020, città di Lucca,
esterno giorno,
parla la voce narrante
Probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono, scrive Josè Saramago in “Cecità”, che nel lockdown 2020 in molti, insieme a “La Peste” di Albert Camus abbiamo letto, ritrovato o soltanto sentito parlare, , non solo perché parlano di epidemie e luoghi immaginari, ma perché evocano un noi nel qui e ora.
La metafora della “cecità” risponde all’idea poetica di una condizione emotiva ed intellettuale che forza e stimola uno sguardo interiore, strumento essenziale per la meditazione del mondo (come ricorda Wallace Stevens).
Una meditazione personale, prolungata, che se praticata consepevolmente porta ad una nuova consapevolezza, nata dalla profonda crisi vissuta, ovvero l’intuizione di poter davvero fare qualcosa di più di diverso e di migliore per noi stessi e per gli altri.
Il lockdown 2020, pur nella sua asprezza tragica e desolante, sembra lasciare questo messaggio nella bottiglia.
E detta contemplazione, proattiva e portatrice sana di nuova armonia, si svolge attraverso gli “oggetti” della testimonianza visiva realizzata “ciecamente” dal nostro viaggiatore, fuori e dentro di noi. Un viaggiatore che cammina lungo le frontiere di un nuovo mondo all’improvviso – un mondo segreto - e ci dà del tu.
Giorgio Leone, fotografo, che fotografa “ciecamente” la realtà disabitata e nuda della sua città.
Fotografa di “amore cieco” che non trasmette una interpretazione e una estetica composta per l’arte di stupire ( o di compiacersi), ma si sorprende nell’attostesso di rivelarsi “drammaticamente” fedele al corpo della sua città, spogliato da un imprevedibile vento che ha cambiato le abitudini delle nostre vite. Le nostre vite.
Un “punto di corona” come nelle partiture musicali, ad interrompere e modificare il tempo e quindi il ritmo, a “lasciare in sospeso” il fraseggio che, dopo, una volta ripreso, certo non sarà come prima.
Accadimenti, eventi, che trasformano una città in deserto ( o camminiamo sempre in un deserto dove per illusione ci appare una città? Una fortezza Bastiani ne Il Deserto dei Tartari?)
Leone ci rende protagonisti, insieme a lui, di un unico e lungo piano sequenza. Camminiamo e pensiamo, intercettiamo suoni e frammenti di messaggi, intermittenze aeree, parole, linee e onde di frequenze - linee e onde - scheletri di pietre e tempo che batte il tempo – pietro e tempo - in un duello che è anche un giro di giostra. Ferma.
Fermi tutti. Stop. Responsabilmente.
Nel frattempo le insensibili nubi passano e chi sopravvive avrà motivo di dire che è andata bene.
Testi a cura di Debora Pioli
Fotografie di Giorgio Leone